lunedì 27 gennaio 2020

Anne Holt – L'unico figlio

trad. Margherita Podestà Hier, ed. Einaudi, Stile Libero Big

Olav, un bambino di 12 anni affetto da una particolare sindrome, è in affidamento ad una casa famiglia, pur avendo ancora la madre, ma non ha accettato tale collocazione, che non è indolore né per lui né per gli altri ospiti. Olav ha un fisico impacciato e molto grosso e questo lo fa sembrare più grande rispetto all’età anagrafica. La storia inizia quando la direttrice della casa famiglia viene trovata morta. Questo è il primo incarico da neo-ispettore capo per Hanne Wilhelmsen, che ora non ha più l’obbligo di sporcarsi le scarpe, ma deve “solo” coordinare le indagini. Come è possibile immaginare, è difficile però cambiare le vecchie abitudini... La patina di lucido che hanno i diversi personaggi della vicenda è solo una copertura: tutti nascondono segreti e offrono moventi per l'uccisione della direttrice. Solo un'indagine classica porterà alla risoluzione del caso, un esito di comodo che solo il lettore ed il colpevole conosceranno.

La scrittrice ancora non mi entusiasma, ma si fa leggere. L’inizio del libro, incentrato sull'inserimento nella casa famiglia di Olav, è troppo lungo, tanto da avermi fatto dubitare di aver preso il libro giusto, ma, superato questo scoglio, la lettura procede senza troppi intoppi. Forse la scrittura maturerà nei prossimi libri della serie.

Frase sottolineata
Maren non era una santa. Secondo lei non esisteva niente di più stupido che affermazioni tipo «adoro i bambini». I bambini erano come gli adulti, alcuni incantevoli, altri affascinanti, altri ancora erano degli stronzi. In qualità di educatrice di professione, le pareva di essere brava a non far capire se un bambino le andasse a genio o no.