martedì 31 luglio 2018

David Lagercrantz - Millennium 5, l’uomo che inseguiva la sua ombra

(trad. L. Cangemi, K. De Marco, Marsilio Editore) 

Biologia della razza, il “Progetto 9”, il drago tatuato sulla schiena di Lisbeth Salander: sono questi gli enigmi che verranno affrontati in questo capitolo della saga creata da Stieg Larsson, il secondo dopo la sua scomparsa. La storia si svolge tutta in un mese, un caldo giugno. Lisbeth Salander, è ancora lei protagonista, è chiusa in un carcere di massima sicurezza quando il suo vecchio e malandato tutore Holger Plamgren la va a trovare, nonostante le precarie condizioni di salute a seguito di un ictus, di cui abbiamo già letto nei primi tre capitoli della serie. La visita darà l’opportunità a Lisbeth di cercare di ricostruire il suo oscuro passato, una infanzia che è stata pesantemente condizionata dal fantomatico “Progetto 9” con lo studio dei gemelli. Parallelamente Lisbeth si occupa anche di Faria Kazi, un’altra detenuta, i cui fratelli ne vogliono la morte e per questo incaricano Benito, un’altra detenuta sociopatica. Tra il boia e la vittima si frappone Lisbeth.
È già il secondo capitolo scritto da Lagercrantz. Come scritto in precedenza (vedi il commento del 01/11/2016 al suo primo libro), mi fa un po’ impressione come possa sfruttare la storia creata da Larsson, ma, anche se lo stile è diverso, meno ricco di particolari rispetto alle prime tre storie, Lagercrantz riesce a portare avanti in maniera egregia la storia, aprendo tutta una serie di vicende che arrivano a chiudersi nel finale, lasciando però degli spiragli aperti per i prossimi volumi.


Frasi sottolineate
“Cosa vuole che dica, alla mia età? Mi accontento che il corpo mi ricordi ancora che sono vivo, anche se con il dolore”.

L' uomo che inseguiva la sua ombra. Millennium. Vol. 5  - David Lagercrantz Libro - Libraccio.it

mercoledì 18 luglio 2018

Andre Agassi - Open



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(trad. Giuliana Lupi), Einaudi Super ET

Sono appena terminati gli Internazionali d’Italia, e diverse volte durante le trasmissioni di “Un giorno da pecora” uno dei conduttori, Giorgio Lauro, chiede ai suoi ospiti che amano giocare a tennis se abbiano iniziato a praticare questo sport dopo aver letto proprio questo libro. Un libro autobiografico che inizia dalla fine, ovvero dall’ultimo torneo, gli U.S. OPEN, che Agassi ha disputato alla veneranda età di 36 anni e con diversi acciacchi fisici.
Il filo conduttore del libro é: “Odio il tennis”. Sembra un controsenso che un tennista che ha vinto parecchi slam ed è stato diverse volte numero uno nella classifica ATP possa affermare una cosa del genere. Agassi lo ripete come una sorta di mantra e i motivi sono molteplici: un padre despota che lo allena duramente (visti i risultati forse aveva visto giusto), la rivalità sul campo con il fenomeno dell’epoca, Pete Sampras, e soprattutto la sua mente, che non sempre gli è stata alleata, facendolo perdere quando il match aveva già il finale scritto o facendolo vincere quando molti non avrebbero scommesso niente su di lui. E sono infatti queste continue rinascite che lo fanno ritornare numero uno del tennis mondiale e lo portano a 36 anni a disputare il suo ultimo incontro di tennis ad alto livello.
Il libro parla anche di una storia d’amore tra Agassi e il suo preparatore atletico, Gil, e della storia d’amore tra lui e un’altra tennista campionessa, Stephanie Graff, meglio conosciuta come Steffi Graff.
Agassi ripercorre gli scontri epici fra tennisti disputati sia fuori dal campo che dentro, scontri psicologici, tecnici ed infine di resistenza fisica. Scorrendo il libro fanno sorridere le immagini di Wimbledon di un’epoca passata, con i giocatori molto formali, e quelle di un primo Agassi con i pantaloncini di jeans, l’orecchino e i capelli lunghi, da giovane ribelle.

Frasi sottolineate
Ringrazia Dio, gli attribuisce il merito della vittoria, il che mi offende. Che Dio debba schierarsi contro di me ed essere nell’angolo di Chang, mi sembra ridicolo e oltraggioso.

Dovunque tu sia arrivato nella vita, c’è sempre altra strada da percorrere (cit. Nelson Mandela)

Non priverei mai nessuno dell’esperienza istruttiva di perdere.