mercoledì 9 marzo 2016

Banana Yoshimoto - Tsugumi


“Tsugumi” di Banana Yoshimoto. Prima di esprimere quello che ho provato nel leggere questo libro devo sottolineare i ringraziamenti che l'autrice rivolge al suo traduttore: è proprio vero, cosa sarebbe uno scrittore senza il lavoro del traduttore; per cui lo ringrazio anch'io, Alessandro Giovanni Gerevini, per aver messo a disposizione la sua conoscenza affinché si legga questo libro.
Tsugumi, come spiega la stessa autrice, è un racconto un po' autobiografico. L'io narrante è Maria, non la scrittrice, che ricorda la propria cugina molto malata, Tsugumi, nella quale si identifica Banana, non per la malattia quanto per il carattere difficile, tagliente nei giudizi e vendicativa quando le fanno un torto. A causa della sua malattia, non si capisce quale sia, Tsugumi ha elaborato un carattere molto crudele, vuoi perché è sempre stata accudita dai familiari, vuoi come risposta alla sua condizione. La ragazza però è dotata di uno spirito di osservazione che tanto piace a Maria, che è l'unica a tenerle testa ed l'unica a cui Tsugumi indirizza una lettera quando si viene a trovare sul letto di morte. Il libro è ambientato in una cittadina del Giappone affacciata sul mare, che è un rinomato luogo di vacanze estive, e proprio l'estate è la stagione in cui si svolgono le vicende principali del romanzo. Il mare è sempre presente, un mare tanto caro alla scrittrice che riesce a rievocarmi le vacanze estive che da piccolo passavo dai nonni in una località, appunto, di mare, che, come quella della storia di Banana, si riempiva di villeggianti in estate e si svuotava in inverno. In questa località, non essendoci molti svaghi, le giornate erano lente, condizionate anche dal caldo: il bagno la mattina, il pranzo, la pennichella pomeridiana, seguita da una passeggiata con il nonno durante il secondo pomeriggio, quando la calura iniziava ad attenuarsi, il rito dell'asciugatura dei piatti prima di cena ... bei ricordi, non ci si affannava a cercare di riempire per forza le giornate ... il tempo scorreva da solo ed io, con gli occhi di ora, mi ci cullo lasciandomi trasportare. Non avevo paura del "dolce far niente", condizione che spaventa tanto i bambini di oggi.

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