Ci sono libri che raccontano di disastri. Altri, più rari, si concentrano su ciò che c’era prima. Le cause nascoste, le decisioni silenziose, gli errori travestiti da competenza. "Fukushima. Il sole si scioglie" di Andrew Leatherbarrow rientra in questa seconda categoria. Non è un libro che cerca di stupire, e non ha questa ambizione. È un'opera che ti invita a rallentare, a mettere da parte le notizie e ad ascoltare una storia più ampia. Una storia in cui il vero protagonista non è il terremoto del 2011, né lo tsunami che ha colpito la centrale. Il protagonista è l’uomo. O meglio: il sistema. Leatherbarrow non ci guida attraverso l’incidente come aveva fatto in modo brillante con "Chernobyl 01:23:40". Qui, opta per un approccio più sottile e insidioso. Ricostruisce decenni di scelte politiche, pressioni economiche e compromessi tecnici. Mette in evidenza come la dipendenza del Giappone dal nucleare sia emersa non per convinzione, ma per necessità. E lungo questo percorso, la sicurezza è diventata una parola d’uso comune, ma priva di un vero significato concreto. La sensazione, pagina dopo pagina, è inquietante. Come se l’ingegneria, quella che dovrebbe proteggerci, fosse stata usata principalmente per nascondere l’enormità dei rischi. Come se dietro ogni impianto e ogni protocollo ci fosse un accordo non scritto: se tutto va bene, nessuno ne parlerà. Se va male, diremo che nessuno poteva prevederlo. E invece, qualcuno poteva. Qualcuno doveva. Questo non è un libro contro il nucleare. Non è nemmeno un libro ideologico. È un invito a porci la domanda più seria di tutte: non tanto se possiamo fidarci di questa tecnologia, ma se possiamo davvero fidarci di chi la gestisce. E se, dopo averlo letto, non troviamo una risposta chiara, forse è perché la domanda era giusta.