Immaginate un giorno vi svegliate e scoprite che la storia della vostra famiglia, quella su cui avete costruito la vostra identità e le vostre certezze, si rivela essere una grande menzogna ben custodita. È questo il tema centrale de "La lettera di Gertrud", un romanzo di Björn Larsson pubblicato da Iperborea.
Il protagonista, Martin Brenner, è un genetista, un uomo di scienza e un ateo convinto. La sua vita è ben organizzata, tra lavoro, moglie e figlia. Alla morte della madre tutto cambia quando, una lettera lo catapulta in una nuova realtà: la donna che lo ha cresciuto non si chiamava Maria, ma Gertrud. Non era cattolica, come lui aveva sempre creduto, ma ebrea. E, cosa ancor più scioccante, era sopravvissuta ad Auschwitz.
Questa rivelazione mette in discussione ogni sua certezza. Martin si trova a vivere una crisi profonda: cosa significa ora essere figlio di una sopravvissuta? Cosa significa avere origini ebree? Come affrontare la verità con le persone che ama, con i colleghi, e persino con se stesso? È meglio rimanere in silenzio o ricostruire la propria vita partendo da una verità che arriva troppo tardi?
Larsson esplora questi dilemmi con uno stile sobrio, quasi clinico, ma non privo di emozione. Alterna la tensione narrativa a riflessioni sul significato dell'identità, sul peso delle origini e sulla libertà, reale o presunta, di scegliere chi vogliamo essere. Ne risulta un libro che è al contempo una storia familiare, una meditazione filosofica e un monito civile contro ogni forma di pregiudizio.
"La lettera di Gertrud"
è un romanzo che lascia aperte molte domande, proprio come i
migliori libri. Non offre risposte facili, e forse è proprio questo
il suo valore più grande: ci spinge a guardare dentro di noi e a
chiederci quanto di ciò che siamo sia davvero una scelta e quanto,
invece, un'eredità dalla quale non possiamo scappare.
Frasi sottolineate
Il difficile non è credere, ma sapere.
… è necessario parlare con i propri nemici, leggere i loro scritti, imparare il loro linguaggio, per capire come ragionano. Intavolare un dialogo però è più rischioso che restare in disparte, perché rivelando la propria indentità ci si apre all’avversario, che a sua volta può capire come ragioniamo, cosa sogniamo, di cosa abbiamo paura, che valori difendiamo. Ma è rischioso anche perché ci si apre al cambiamento: si mettono alla prova le proprie convinzioni e le proprie verità.
“La vita è sacra, in senso laico, e inviolabile proprio perché ciascuno di noi ne ha una sola da vivere.”
La lettera di Gertrud – Björn Larsson
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